Educazione
sessuale, una questione aperta.
Stefania
Girelli
L’educazione sessuale ed io ci siamo incontrate nei primi anni Novanta.
Avevo circa ventun anni, da poco diplomata come assistente sanitaria lavoravo
in un consultorio familiare pubblico, e iscritta all’università seguivo i corsi
di storia. Il consultorio era un luogo che destava il mio interesse e curiosità
per il tipo di azioni e pensieri che li circolavano, per le persone che vi
lavoravano e che avevo incontrato durante gli anni di formazione e studio. Il consultorio familiare faceva capo allora alla Ussl - oggi
Asl - struttura di base del Servizio
Sanitario Nazionale. Insomma, lavoravo nelle strutture di cura e prevenzione
nate nel corso degli anni Settanta di cui studiavo all’università; incontravo
operatrici che avevano partecipato ai diversi avvenimenti che, in parte, si erano
tradotti nei servizi e nei progetti territoriali in cui ora mi muovevo. Un’esperienza
inseguita e desiderata: sono stati anni di formazione, pensiero e relazioni,
molto intensi. E’ in quel lasso di tempo che ho incontrato il femminismo,
quello della differenza, diverso da quello delle operatrici dei servizi, e l’ho
incrociato cercando materiale per approfondire i temi dei corsi di educazione
sessuale che, come operatrice pubblica, preparavo per le scuole di diverso
ordine e grado. Sì perché il consultorio familiare, così come indica la
legislazione regionale (1) specifica della Lombardia e del Lazio, deve fare
educazione sessuale come attività di prevenzione e promozione della salute
delle persone. Di quell’incontro, con il femminismo della differenza alla Libreria
delle Donne di Milano - incontro che mi parve naturale data la ricerca di
documenti e altro in cui ero impegnata - ricordo ancora lo stupore provato nel
notare come il materiale raccolto non fosse già conosciuto dalle operatrici dei
servizi territoriali. Erano riflessioni, proposte, protocolli e sperimentazioni
che riguardavano gli stessi temi e argomenti, in particolare la sessualità, di
cui si occupavano. Poi, approfondendo durante gli studi universitari e
l’attività lavorativa ho compreso meglio la complessità e varietà di contesti e
situazioni, anche se lo stupore, per il mancato incontro, era e forse rimane
immutato. Ad ogni modo risultato di
quegli intrecci e di quegli anni è stato una tesi sull’attività di un consultorio
familiare milanese; la frequenza di un corso di specializzazione come esperta
della metodologia dell’educazione alla sessualità; l’educazione sessuale e la
prevenzione della violenza sessuale come materia viva di lavoro ancora oggi, non
più come dipendente di un consultorio familiare, ma come professionista e
consulente nelle associazioni del terzo settore e in alcuni servizi pubblici.
Così l’educazione sessuale ed io ci
conosciamo da molto tempo oramai e come per le conoscenze di lunga data, per i
rapporti che durano nel tempo, ho ricordi di bellissimi periodi, altri di crisi
e scoraggiamento, altri ancora di semplice routine. Ci sono stati molti incontri
finiti e alcuni no; storie sentite e raccontate, letture e ancora letture.
In queste brevi note iniziali, che tratteggiano passaggi e avvenimenti, ci
sono elementi che ricorrono e che dicono di alcune possibili trame tra
esperienze diverse per molti aspetti come l’attività di educazione sessuale e
l’esperienza dei gruppi di self help. Quali? La ricerca di conoscenza, il corpo
sessuato centrale e luogo di esperienza, il corpo da cui partire per cercare
risposte, la dimensione del gruppo. Il mio primo incontro con il self help è
avvenuto studiando l’esperienza del consultorio autogestito della Bovisa di
Milano e molto mi ha dato da riflettere e molto è stato trasportato nei corsi
nelle scuole. Mi ha aiutata a raccontare il dentro con partecipazione e
fantasia, a ricercare immagini e suggestioni per sollecitare attenzione e
curiosità per il nostro corpo dai molti strati. Molto mi ha fatto pensare il
mancato collegamento di quelle esperienze radicali, innovative e libere con i
primi passi dei consultori familiari pubblici, attorno a questioni come il
corpo, la contraccezione, le mestruazioni, la salute e l’interruzione volontaria
di gravidanza che alla fine travolse consultori pubblici e consultori
sperimentali.
L’attività di educazione sessuale ruota attorno a quegli stessi temi e vorrei
presentarla come se fosse un incontro aperto; di corpi e parole più di tutto.
Molte parole: di educazione sessuale si discute moltissimo, in luoghi diversi, tra
persone diverse con intenti diversi. Da molto tempo in realtà. A volte ho
pensato che fossero più le discussioni che i veri interventi, il fare, per poi
capire che anche le discussioni sono parte di quel processo o attività che si
può chiamare educazione alla sessualità.
Dove si discute? A scuola, nei servizi territoriali sia che debbano o no
fare questo tipo di attività, nelle varie scuole di specializzazione, nelle
famiglie, nei centri culturali di diverso orientamento, nei luoghi religiosi,
nei gruppi di femministe, qui oggi, nei blog e sui giornali, anche in alcune
trasmissioni televisive più o meno seguite e note.
Attorno a cosa si discute? Che cosa
vuol dire educare alla sessualità; si può accostare il termine educazione al
termine sessualità; c’è differenza tra educazione e informazione sessuale. Quando cominciare a fare educazione sessuale.
Chi la deve fare, che tipo di persona, che tipo di professionista, e chi non la
deve fare. Con quale intento e perché si fa educazione sessuale senza tralasciare
in che modo si debba fare. E ancora a quali persone, più o meno grandi e più o
meno maschi e femmine, ci si deve rivolgere. Di quale sessualità si deve
trattare, di quali significati, di quali funzioni. E quale aspetto deve
prevalere, l’aspetto culturale, quello scientifico, il biologico, quello morale
e psicologico.
Chi dovrebbe occuparsi di tale attività? I soggetti chiamati in causa sono
solitamente la famiglia, la scuola, esperti vari e diversi. Anche i preti, la
televisione, senza dimenticare a suo modo la pornografia. E il gruppo di amici
e amiche.
Attorno a questo si discute con grande fervore e intensità. Trenta
quaranta anni fa come oggi. Con fazioni o scuole di pensiero che si schierano a
favore o contro e d’altra parte in un paese come il nostro una simile questione
non può che prestare il fianco ad interpretazioni e pensieri diversi, spesso
opposti e contrapposti. Attorno a questo si sono composte delle scuole, o
luoghi di pensiero, con riferimenti teorici e metodologie didattiche precise;
ci sono testi pubblicati che riportano e illustrano per esteso modelli e teorie
di riferimento. Per citare le scuole più
note: l’educazione sessuale secondo il modello narrativo, ad
orientamento medico e biologico, secondo l’Istituto internazionale di Firenze,
secondo l’approccio umanistico, secondo il modello dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma e secondo il Centro Italiano
di Sessuologia, il programma di educazione sessuale e relazionale-affettiva e
l’educazione sessuale attivante e non direttiva, il modello della peer
education.(2) Aggiungo un riferimento: le riflessioni e suggerimenti contenuti nel
bel libro di Laura Austoni e Alberto Zatti, I
codici del piacere, forse anche perché ho condiviso una parte del percorso di
formazione personale e di attività vera e propria con l’autrice. Dalla
prefazione del libro riporto un passaggio che dice del modo di intendere
l’attività di educazione sessuale come un incontro, che ha a che fare anche con
il piacere, posizione questa a cui siamo giunte per gradi:
“...per
quanto riguarda il piacere di educare alla sessualità non è arrivato subito, ma
solo dopo un po’ di allenamento. Prima è stato importante ritrovare la calma,
sedare le nostre ansie relative al programma e ai contenuti che sentivamo di
“dover trasmettere” ai ragazzi. E’ stato importante abbandonare la fretta e
l’urgenza di chi educa più per dovere che per piacere... a mano a mano che ci
liberavamo delle urgenze di “dover fare”, ci siamo accorti che cambiava il
nostro modo di rapportarci con gli utenti principali dei nostri corsi... abbiamo
smesso, come all’inizio di vederli tutti uguali, tabule rase inconsapevoli,
capaci solo di cacciarsi in guai irreversibili e preoccupanti in assenza di
interventi educativi qualificati. Da “salvatori del mondo”, destinato a cadere
in un abisso sempre più profondo e tragico di maniacalità sessuale, ci siamo
ritrovare persone, curiose di farsi domande sulla vita e su ciò che più le
appartiene: la sessualità... se la capacità di provare piacere va di pari passo
con l’abilità di farsi “ricettivi” e di abbandonare le difese culturali nei
suoi confronti, lo stesso ci è sembrato di poterlo fare con i ragazzi dei
nostri corsi: disponibili ad accoglierli, a conoscerli, a capire con loro come
uscire da certe trappole culturali che ci influenzano, ma soprattutto a
recuperare la magia di quanto più ci appartiene: la sessualità di noi donne e
di noi uomini. Non più incontri frettolosi e carichi di “ansia di prestazione”
per la mole delle informazioni scientifiche ed esatte che sentivamo di dover
trasmettere, ma piacevoli conversazioni all’insegna del sentirsi pienamente nel
dialogo anziché del fare informazione e prevenzione...”(3)
Educazione sessuale come un percorso, una strada con compagni e compagne
diverse. Prima ancora di entrare nelle diverse classi per incontrare i più
piccoli e piccole e i più giovani, intesa e fondamentale è l’attività di
preparazione e di confronto: vale a dire che la dimensione del gruppo di lavoro
è una caratteristica che definisce e qualifica l’attività. Ogni argomento, ogni incontro,
ogni interlocutore e interlocutrice è
sempre visto e rivisto dentro il gruppo di lavoro, portando ognuno e ognuna la
propria competenza, esperienza, sapienza, personalità. Non posso che ripetere: discussioni,
confronti e conflitti, ancora e continui.
L’idea di percorso e d’incontro rievoca l’esperienza del self help. E per rilevare
queste trame riporto alcune riflessioni portate in un convegno a Bergamo
qualche anno fa da parte di una poetessa, Giusi Quarenghi chiamata a raccontare
della poesia come possibilità o strada per un’educazione sessuale.
“...piuttosto alla differenza, almeno così a
me pare, dei rispettivi punti di vista. Quello della pedagogia e quello della
poesia. Estremizzando: la pedagogia ha a disposizione un tempo limitato per
proporre, perseguire, e verificare d'avere raggiunto, almeno sufficientemente,
gli irrinunciabili obiettivi che si é data; la poesia s'accompagna a un senso
del tempo che mal si presta ad essere misurato, almeno in termini di obbiettivi
raggiunti... La poesia sta nel tempo
finito, e nel tempo della fine, con irriducibile consapevolezza, ma senza
scadenze, senza termini oltre i quali il senso rischia di andare perduto, o
confermato, e il progetto fallito, o raggiunto. Per la poesia, prova di
respirazione d'eternità, cammino e meta, strada e destinazione non sono in
ordine di successione, l'uno finalizzato all'altra: nella poesia, e nella vita,
suggerisce Machado é andando che nasce il cammino, si traccia la strada, si
compone e disfa e amplia e muta la mappa, al punto che viaggio e meta possono
coincidere... La poesia, meno utopica della pedagogia in questo, ben sopporta
cammini a esito non certo, non verificabile, il cui senso profondo sta nel
praticarli, nell'essere per strada; abbandonarli/perderli, esserne
abbandonati/persi/ripresi, rimangono esperienze che ci rivelano/aprono a
significati profondi al pari di compierli/esserne compiuti. Ci sono mete in
grado di sostenere, motivare il cammino proprio in forza della loro non
raggiungibilità, cammini irrinunciabili proprio perché inesauribili; e proprio
per questo in grado di dire la condizione umana più della catena
progetto-obbiettivo-verifica-progetto-obbiettivi-verifica.
Educazione
all'affettività per indicare che non é possibile, e forse neppure augurabile,
dare questa educazione per raggiunta e compiuta, perché l'affettività muta con
noi che viviamo, ed é luogo di 'educazione permanente' (binomio felice dal
destino storico infelice, forse per eccesso di pedagogizzazione). Questa
proposizione porta con sé un movimento, un tendere-a che apre all'idea di
cammino come all'idea più propria del vivere, e dell’amare-essere amati, nel
quale ognuno ha da trovare il proprio passo.
E qui la poesia
vorrebbe incontrare la pedagogia, nella speranza che si esca dalla scuola senza
uscire dal cammino di apprendimento e formazione, cammino ormai interiorizzato,
di cui si sono assunte la responsabilità, la passione e la titolarità. Ho
sentito dire da un teologo valdese, Yann Redalié, che 'insegnare con autorità é
autorizzare, vale a dire rendere autori, rendere ognuno autore di sé stesso'.
In un rapporto formativo così configurato, maestri/insegnanti sono insieme
fornitori di informazioni e conoscenze, trainer di abilità e competenze, e
persone consapevoli di vivere e convivere con i loro simili più giovani,
creando e costruendo cultura e società, di oggi e anche di domani.” (4)
Quello che cerco di rendere é che l'educazione sessuale è
fatta di molti pensieri, collegamenti e azioni
possibili. Che molti sono i modi e gli autori e autrici del fare educazione
sessuale. Mi sento di dire che non corrisponde al vero l'affermazione che in
Italia non si faccia educazione sessuale. Fabio Veglia, capo scuola e autore di
molte pubblicazioni specifiche, scrive nell'introduzione di un suo manuale: "... Avendo studiato in modo
approfondito le politiche scolastiche e
sanitarie degli altri Paesi ho potuto constatare che l'Italia é
all'avanguardia sia sul piano delle idee che delle soluzioni tecniche."
E fin qui data la sterminata letteratura, le moltissime azioni e
sperimentazioni, l'ardore delle discussioni e confronti, si può trovare un
punto di forza. Prosegue Veglia: "Ciò
che manca completamente é, invece, una strategia operativa complessiva che
consenta, pur nell'utilizzo vantaggioso delle differenze, di assumere una
posizione coerente sul piano delle offerte formative." (5) Vale a dire
non considerare vitale la questione per le nuove generazioni, lasciare che le
diverse risposte non siano collegate in un perimetro comune di senso. Potremmo
evocare una sorta di nebulosa, una serie di esperienze molecolari, poco
visibili, segmentate. È qui più che mai, a mio parere, che l'educazione
sessuale rimane questione aperta e questione critica.
A oggi com'é il mio incontro con l'educazione sessuale?
Come detto prima sono arrivata ad un punto che é il risultato di continue
contaminazioni, di saperi, metodi e pratiche. Quello che conta é la relazione
che cerco con le persone, grandi o piccole, maschi e femmine che incontro.
Ascolto molto, ricerco parole dense, ricche e inverosimili, offro visioni
inusuali e poco consumate, inseguo sentieri nuovi. Ho lavorato molto con i
bambini e le bambine della scuola primaria e con loro é un incontro
affascinante e inteso, soprattutto fuori dagli schemi ordinati. Discutiamo e
giochiamo insieme profondamente, parliamo dei corpi che siamo e che
diventeremo. Cerchiamo parole per dire dei giorni a venire e parole che
raccontino i moti del dentro de come si sta. “Gli spermatozoi che si stancano durante il lungo percorso dove vanno a
finire? Spariscono nel nulla? – Se uno spermatozoo entra nell’ovulo e non si
toglie la coda cosa succede? – Perché quando non si hanno rapporti sessuali il
pene rimane abbandonato a se stesso – Il pene si alza solo la sera? Se il pene
si ritira da solo cosa significa?” Oppure: “ La vagina diventa morbida solo in casi speciali? Ma se adesso ho le
mestruazioni crescerò molto o resterò bassa? E’ normale che mi siano venute
adesso? Non ho capito perché una ragazza quando si sveglia ha il sangue nella
vagina.” E poi ci sono altre domande: “Fare sesso è una tua decisione o data dal
destino? Perché noi femmine dobbiamo sposarci e fare sesso? Ma è l’amore o il
sesso che è per piacere? Ci si lecca perché ci si piace? Secondo voi è giusto
divorziare dopo essere stati innamorati e sposati? Gli omosessuali come fanno a
fare sesso? Cosa devo fare quando mi viene voglia di toccare le mie parti
intime? Cosa sono esattamente i transessuali? Io non ho capito bene la
differenza tra maschio e femmina (cioè se non eravamo il pene o la vagina
eravamo né maschi né femmine).” (6)
Quando dico di parole, intendo la possibilità di usare il
linguaggio come risorsa infinita di possibilità, allora fare sesso può
diventare amoreggiare; i buchi in cui bisogna o si sceglie di entrare diventano
aperture da ricercare e scoprire; quando la pornografia propone misure abnormi,
propongo storielle, miti rimaneggiati e suggestioni. Uso l’ironia: "Perché le donne hanno le tette? Questa vi
sembrerà forse una domanda stupida. Invece una domanda così superficiale ha dei
risvolti profondissimi. Innanzi tutto una cosa é innegabile: le tette esistono
ma le hanno solo le donne. "Idiota" direte voi. "È chiaro che
gli uomini non le hanno visto che non allattano". Indiscutibile ma non
pertinente. Dicendo che le donne sono le sole ad avere le tette intendevo dire
che sono le uniche mammifere ad avere le tette. No, le altre mammifere non
hanno le tette. Hanno i capezzoli, sì. Hanno le ghiandole mammarie, sì.
Allattano, sì. Ma siamo seri, non mi direte che le mucche hanno le tette e
neanche quelle delle scimmie si possono definire tette. Quando dico tette, dico
tette. Cioè quella protuberanza curvilinea morbidamente imbottita, ondeggiante,
traspirante, piena soffice, ammiccante. Tette tettose insomma." (7)
L’altra faccia è la presenza tra il materiale raccolto in
questi anni, di visioni, frasi, parole e modelli che indicano un’adultizzazione
dell’infanzia che apre molti quesiti e a volte preoccupazioni. “E’ vero che ci sono donne che uccidono i
bambini nella pancia?” Quante volte è circolata questa domanda cruda e
immediata nei gruppi dei piccoli e piccole. E tutte le volte mi fermo a
spiegare, ad allargare, a suggerire altre parole rispetto al termine uccidere, invito
a riferirsi anche ad altri adulti, quelli affettivamente presenti e importanti.
E i miei pensieri si fanno rabbiosi e duri per la diffusione di quella parola
uccidere collegata alla maternità nella sua zona oscura.
La relazione con gli adulti, insegnanti e genitori é sempre
complessa e contraddittoria. Ecco le parole di una mamma messe in rete, dopo un incontro con noi: "Quando é stata pronunciata la parola
sessualità l'atmosfera é diventata densa, sai quando hai l'impressione che se
lasci cadere una matita, quella galleggerebbe invece di toccare terra?
"Spiegheremo che cosa significa fare l'amore" Cielo. Le mamme sono
chiaramente imbarazzate. La psicologa cerca di usare termini che non evochino,
ma ahimè evocano per forza.... é sufficiente che evochino cosi e cose che in
determinate condizioni (e solo presso gli adulti) finiscono gli uni nelle
altre... Sono uscita dall'incontro con molte domande... Su di noi, i genitori.
Che non siamo pronti per far crescere i nostri bambini. Che non sappiamo che
cosa sanno, loro di sessualità. Che siamo terribilmente tentati di fare come
hanno fatto i nostri genitori: nulla... Che non siamo in grado di parlare di
sessualità (come non siamo in grado di parlare di morte), neanche se questo
vuol dire fornire ai nostri figli gli strumenti per vivere più sereni."
(8)
Altre parole e altri incontri che dicono ancora di ricerca
e percorsi. Oggi come negli anni Settanta: molte cose sono cambiate, vero; ma
qualcosa vorrà dire se oggi cerchiamo trame o ponti tra esperienze che in
comune hanno la ricerca di risposte e possibilità.
Giovani uomini e giovani donne attorno ai venti anni:
"... La visione
del sesso, rispetto a quella dei nostri genitori si é evoluta. L'atto sessuale
non é più ribellione o affermazione. Ci stiamo spostando verso un sesso che
parla di noi agli altri, un rapporto che ci pone, finalmente, nudi e sinceri
davanti al nostro partner. Piacere, evasione, affetto, trasgressione, dispetto,
amore, noia, scoperta, lavoro, curiosità... I motivi che ci spingono a fare
sesso sono molti e diversi. Per tutti in ogni caso, il sesso è uno strumento
fondamentale per esplorare se stessi, consolidare rapporti e mettersi alla
prova. Il sesso è una parte fondamentale del nostro personale romanzo di auto
formazione. Ci permette di sperimentare, capire cosa ci piace, chi ci piace,
fare esperienza e aprire le nostre porte alla percezione. Il sesso ci permette
di lasciarci andare. Il sesso é un trip da acido senza acido. Il rapporto
sessuale, secondo il nostro punto di vista, è forse l'atto più vero e sincero
che un essere umano possa compiere. Anche durante la "botta e via"
viviamo un momento di intimità e condivisione senza pari. Nudi alla metà.
Eccovi spiegati i friends whith benefits, i rapporti borderline in cui si
cammina in bilico sulla sottile linea che separa amicizie ed amori. Ecco
spiegate la continua ricerca di contatto fisico e la voglia di vivere
concretamente e pienamente gli altri. La voglia di sperimentare continua, di
"lavoro sul campo", se così si può dire. La voglia di lasciare un
segno indelebile nelle persone che ci circondano e di farci contaminare di
continuo per scoprire un divenire esclusivamente nostro. Ecco che una dopo
l'altra crollano certezze e convinzioni, i sentimenti si stravolgono, il
diverso non ci spaventa. Scopriamo omosessualità, bisessualità, e le non
differenze di genere. Zero moralismo, a noi il sesso piace e pure tanto. Siamo
alla ricerca di una realtà sessuale più vera, fisica e succosa." (9)
Un'idea continua dopo tanti anni a girarmi attorno: la
sessualità, forte, vitale, creativa e fuori controllo, fuori schema nonostante
tutto, anche oscura, rimane inconoscibile fino in fondo e lo dice bene un
bambino, prendo le sue parole: “Quando
parlavamo delle parti intime non è che mi sentivo a disagio o imbarazzato,
sentivo dentro di me una sensazione insolita che è indescrivibile”.
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(1) Legge
n. 44 del 6.9.1975 Regione Lombardia – Istituzione del servizio per
l’educazione sessuale, per la procreazione libera e consapevole, per
l’assistenza alla maternità, all’infanzia e alla famiglia. Legge n. 15 del
16.4.1976 Regione Lazio – istituzione del servizio di assistenza alla famiglia
e di educazione alla maternità e paternità responsabili
(2) Fabio
Veglia, Manuale di educazione sessuale,
Volume 1 Teoria e metodologia, Edizioni Erickson
(3) Laura
Austoni, Alberto Zatti, I codici del
piacere, Franco Angelo Milano 2004, pg. 8
(4) Giusi
Quarenghi, “La poesia come educazione all'affettività e alla sessualità”
relazione non pubblicata
(5) Fabio
Veglia, Manuale di educazione sessuale,
cit. pag. 9
(6) Il
materiale riportato è inserito nella tesi di master Politiche di protezione per
l’infanzia: le parole dei bambini. Il progetto le “Parole non dette”, Milano
2001-2005 – Università degli Studi La Sapienza Roma, Facoltà di Statistica
(7) Jacopo
Fo, La vera storia del mondo, Demetra, pag. 31
(8)
mammaincorriera.blogspot.com
(9) Progetto Himheros tratto
da Lorella Zanardo, Senza chiedere il
permesso, Feltrinelli, pp.26 - 27
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