Non vorrei
dire troppe cose, perché avremo modo di parlare anche nel pomeriggio. Certo, è
molto bello che qualcuna proponga di riaprire la riflessione, perché io avevo
già chiuso nei cassetti sia i ricordi che le carte. Quando ho portato ad
Archivia le carte dell’associazione Simonetta Tosi, le ho dovute togliere da
casa mia, dopo vicende in cui le avevo dovute rinchiudere in depositi tipo gli
abbaini del condominio, con intorno anche qualcuno che mi diceva di buttarle
via. Credo che per molte sia stato così. Quindi, come diceva anche Ines, è
bellissimo che qualcuna sia andata a leggere le nostre carte, vi abbia trovato
interesse perché, per esempio, mi ha scritto l’anno scorso Liliana Barca, che è
stata l’anima del coordinamento consultori, dopo che una giovane era andata a
casa da lei per una ricostruzione degli anni Settanta: “Sono stata felice, non
credevo che la nostra storia potesse ancora interessare”: Dunque, mi fa piacere
contribuire a ricercare un filo, anche se anch’io come Ines preferisco essere
sollecitata piuttosto che sollecitare, dare una mano sì, ma non ho più
l’energia che potevamo avere quando ancora negli anni Novanta ci siamo
trasferite qui alla Casa, da Via dei Sabelli, esattamente nel 1996, tentando di
fare un ambulatorio, così com’era quello di San Lorenzo che ci eravamo lasciate
alle spalle.
Dopo la morte di Simonetta nel 1984, abbiamo iniziato a lavorare
come associazione Simonetta Tosi; prima eravamo associazione IRIS, con un
progetto di documentazione e controinformazione, analogo a quello del GFSD
(Gruppo Femminista per la salute della Donna), tanto è vero che dal ministro
della Sanità Altissimo siamo state
noi e loro a presentare un documento per un Centro della salute della donna.
Simonetta
era la figura importante che ha coagulato tante presenze a San Lorenzo. Lei
aveva una storia un po’ diversa da tutte noi, in quanto ricercatrice che,
secondo Rita Levi Montalcini, avrebbe potuto fare una brillante carriera nel
campo della biologia cellulare. Si era laureata in biologia e medicina, e dopo
anni vissuti con successo come ricercatrice, scelse di mettersi in relazione
con altre donne per riscoprire parti di sé che sentiva mancanti in laboratorio.
Questa scelta è stata fondamentale, tanto che ha lasciato il Consiglio
Nazionale delle Ricerche (CNR) ed
è entrata nell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dove ha creato il servizio
di vigilanza sull’attuazione della legge 194. Intanto, su incarico di regioni e comuni aveva organizzato
corsi di formazione per il personale sanitario, ad es. sulla contraccezione. La
cosa bella è che non si atteggiava ad esperta, ma passava le sue conoscenze a
partire dal suo essere donna. In questo modo ha permesso la circolazione tra il
momento in cui il collettivo, il martedì, discuteva delle esperienze di vita e
la discussione, poi, delle informazioni e dei dati scientifici. Anche voi del
GFSD leggevate Lancet,
la rivista inglese d’informazione scientifica, e avevate molte informazioni
dagli Stati Uniti. Simonetta dava un importante contributo alla
sistematicità grazie alle sue
competenze, e aveva una duplice presenza: nel movimento e nelle istituzioni
sanitarie. Aveva fatto parte del Collettivo Pompeo Magno. Ha lasciato cartelle
di appunti e documenti sulle attività a San Lorenzo e nelle istituzioni e,
prima di morire, ha voluto ordinarle insieme ad Ines. Costituiscono il nucleo
centrale del nostro archivio.
Quello
di cui sento la mancanza è l’energia che fluiva nel gruppo, nell’autocoscienza,
tra donne che potevano passare e poi non farsi più vedere e le altre che
restavano; l’energia che dava l’autovisita, che abbiamo cominciato a fare anche
con giovani che, poi, sono diventate ginecologhe. Si trattava di un’energia che
oggi è difficile ritrovare. In seguito, dagli anni Ottanta in poi, molte hanno
cercato personalmente delle soluzioni
che portavano alla professionalità individuale. Quello che non riesco
più a capire è come tutto questo potrebbe accadere di nuovo, con quella
circolarità, quello scambio che c’era tra l’esperienza di vita, l’esperienza
della liberazione dai nostri problemi familiari, che Ines ricordava, l’uscita
dalle ristrettezze dei contesti in cui eravamo nate e vissute, il passaggio da
questo a una liberazione che ti rendeva autonoma, che ti rivoluzionava la vita.
Il perno era diventato quello che si faceva nel movimento, quello che si faceva
tra noi, scoprendo, appunto, il rapporto con il nostro corpo. Questo è stato
importantissimo perché per me personalmente, era anche una rivalsa nei
confronti dei medici e del potere ecclesiastico con il loro ruolo oppressivo.
Era per tutte, credo, uno sconvolgimento che ha realmente cambiato le nostre
vite in modo profondo.
Poi, un po’ alla volta, ho visto che
c’erano delle antenate. Ho cominciato a occuparmi della storia delle donne
medico, ed è’ stato incredibile scoprire tante cose in biblioteca: leggere, per
esempio, su un bollettino storico di Pistoia, che un erudito di nome Chiappelli
aveva dato notizie su alcune donne medico del Medioevo. Oppure, vedere che a
Siena nel Duecento c’era stata una donna, Agnese, capace di creare con
l’appoggio del Comune un luogo per partorienti povere: un vero e proprio
piccolo ospedale, che soltanto nel Settecento è stato inglobato nella
ginecologia ospedaliera universitaria. Sono state delle ricerche molto
interessanti che mi hanno portato dentro la Biblioteca Nazionale, la Biblioteca
Angelica, la Casanatense e altre.
In
ultimo, vorrei dire qualcosa sulla circolarità anche internazionale, perché è
stata importantissima, con tutti i contatti e le traduzioni. A questo riguardo,
ricordo Luciana Percovich e i tanti libri che ci ha fatto conoscere. Penso,
prima di tutto, a Le streghe siamo noi, che vale la pena di rileggere e ripubblicare, ad Archivia c’è.
Importanti sono stati i contatti con il collettivo di Los Angeles e con il
collettivo di Boston, da cui è uscito “Noi e il, nostro corpo”. Negli anni
Ottanta avremmo voluto tradurre l’edizione aggiornata, ma la Feltrinelli non
era più interessata.
Infine,
vorrei ricordare che Alma Sabatini, figura importante di Pompeo Magno, da un
suo viaggio negli Stati Uniti aveva riportato notizie sul self-help e ne aveva
parlato sulla rivista Effe.
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