venerdì 26 ottobre 2012

INCONTRARE IL SELF-HELP AD ARCHIVIA

Tre donne del Collettivo Diversamente Occupate, che hanno contribuito ai numeri del 2012 della rivista DWF sul tema della sessualità, commentano il loro incontro con alcune donne del Gruppo self-help riparliamone. L'incontro si è svolto venerdì 19 nei locali di Archivia, alla Casa internazionale delle donne di Roma, ed è stato particolarmente ricco e intenso. Con l'occasione, invitiamo chi legge alla presentazione dei 2 nuovi numeri di DWF, sul tema del ' Saper fare comune', che si svolgerà sempre alla Casa, presso il Caffè letterario, martedì 30 ottobre alle 18.30. Alla presentazione parteciperanno il Collettivo Diversamente Occupate e il Gruppo self-help riparliamone.

Claudia
Ci siamo incontrate, dentro la grande sala di Archivia, mentre Roma fuori festeggiava l’arrivo del weekend. È stato particolare. Come già particolare era stato incontrare Livia una sera di luglio, e raccontarci cosa significa il corpo nell’esperienza di ognuna. Stare insieme a Livia, Cinzia e Serena con due delle mie compagne di strada “diversamente occupate” ci ha dato sicuramente l’idea di una ricchezza di esperienze e sguardi incarnati sul presente, una ricchezza che non si è voluta dire o mostrare tutta e subito, ma che è stata capace di accogliere e lasciar accadere.
Si è trattato soprattutto di un incontro basato sul reciproco ascolto. Tanta voglia di raccontare quello che è stato fatto ed è andato perso di bocca in bocca senza lasciare troppe impronte sulla carta, tanta voglia di chiedere sulle pratiche, desiderio di raccogliere memoria ma anche voglia di capire oggi quali pratiche e perché la sessualità resta un continente sommerso da altre urgenze come il lavoro, la precarietà esistenziale, le condizioni materiali di queste esistenze troppo spesso incorporee. Sentire il corpo nel nostro quotidiano è stata la pratica che con le altre del mio collettivo ci ha fatte interrogare sulla sessualità come un qualcosa di non sconnesso da tutto il resto che ci attanaglia in superficie. Affinando questo sentire siamo state capaci di porre delle condizioni prima ancora di pretendere dei diritti. Ma il self-help? Io ne ho sentito parlare sui libri, ma è stato incontrando Livia e le altre che ne ho potuto ascoltare testimonianza diretta e l’ho detto subito, non è la mia pratica, non è la mia urgenza, non la riconosco come quella del mio tempo, o almeno finora è stato così. Eppure mi appare chiaro che il meccanismo della delega all’autorità medica non è ancora stato rotto nella cultura diffusa dei corpi in cui siamo immersi, e frasi come “usavamo l’auto-visita come strumento di contraccezione”, “imparavamo a curarci con metodi naturali per aggirare la medicalizzazione”, “dal ginecologo quando ci andavamo, andavamo con uno speculum”, risvegliano in me il desiderio di riportare al corpo il desiderio di autodeterminazione. E poi, il racconto dell’osservazione dei cambiamenti di forma mi affascina più che mai: “l’utero può assumere la forma di una lineetta, di un cerchietto, di un puntino”, “osservato al microscopio il muco dell’ovulazione cristallizza a felce, come la neve”, “i colori e le consistenze che cambiano”. Tutto questo mi dice che mi sono persa qualcosa, qualcosa che mi riguarda eccome. Che quello che è qui in me, già adesso, l’ho dimenticato per troppo tempo. Forse non ne so abbastanza, come è potuto succedere? In qualche modo stiamo riprendendo un filo.




Teresa 
 Sono arrivata stanca (era venerdì sera) e non al massimo dello spirito per l’ennesimo incontro della settimana. Sono uscita sorridente e piena di sensazioni positive. Avevo già sentito parlare della pratica del self help, ma non avevo mai conosciuto donne che l’avessero praticata realmente (come pratica politica), quindi non ne avevo mai sentito parlare in presenza. E’ stata una scoperta continua, io e le compagne più giovani ci guardavamo con gli occhi sbarrati, per la sorpresa, per la voglia di sapere, per l’incontenibile consapevolezza che pratiche di questo tipo, così come le parole e i linguaggi ad esse collegate, non ci fossero state trasmesse allo stesso modo del movimento femminista degli anni Settanta, così come le conquiste fatte da queste donne nella relazione con gli esperti (medici, ginecologi, operatori di consultori) di cui oggi non abbiamo traccia. E’ stato bello parlare e condividere con loro, è stato bello sapere (sono cose che si sanno ma se te le dice una che ha l’autorità dell’esperienza è tutta un’altra cosa) che possiamo tenere sotto controllo ovulazione, mestruazioni, contraccezione, orgasmi, che possiamo curare infezioni con metodi naturali, che possiamo guardarci dentro e fuori, da sole e con altre. E’ bello anche dirci che forse per noi non è l’urgenza, che forse è una pratica in cui non saremo mai attive (ma anche si), l’importante è che questo lavoro di ri-costruzione della memoria del self help italiano vada avanti, perché le genealogie sono preziose, soprattutto per noi.



Roberta 
Anche io non avevo idea che esistesse a Roma un gruppo che aveva fatto esperienza della pratica del selfhelp. ne avevo sentito parlare - di questa pratica - quando un anno fa più o meno avevamo deciso di fare quei seminari iaph aperti sulla sessualità, ma allora il riferimento era il gruppo americano che poi ha scritto "noi e il nostro corpo".
rispetto alla pratica del self help parto anch'io da un dato: non ho mai sentito l'esigenza di mettere in atto una pratica simile, e per quanto come dicevo anche nell'incontro di altre pratiche femministe posso dire di averle scoperte come già esistenti dentro di me, e l'incontro con il femminismo mi ha dato solo modo di nominarle, non posso dire lo stesso del selfhelp.
do una spiegazione dicendo che il dato corporeo di cui faccio esperienza si muove su un altro terreno rispetto al contatto e all'indagine sul corpo in sé. penso ad esempio a quella che ho nominato come "erotizzazione diffusa", a quell'erotismo cioè che dà piacere fisico nella condivisione tra donne. un piacere che dicevamo - al contrario che nella relazione mista - viene reinvestito come potenza rinnovata all'interno del gruppo, perché tra donne lo si riconosce come tale, lo si tiene cioè all'interno del proprio corpo e non si ha la necessità di spiegarlo (come succede ai maschi) come gioia per il raggiungimento di un obiettivo.
tuttavia, l'incontro con livia e le altre ha messo in moto una curiosità di conoscere il mio corpo, di percepire i suoi cambiamenti in modo più consapevole, attraverso i le trasformazioni del corpo stesso. insomma una rinnovata materialità a sensazioni fisiche sì, ma che abbiamo imparato a dire solo in modo disgiunto dai movimenti del corpo. Ad esempio le contrazioni mestruali per me non corrispondono all'immagine del mio utero che si contrae.



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